La memoria storica consiste nel saper ricordare e valorizzare usi e costumi, tradizioni del passato che rappresentano le nostre radici, l’origine dalla quale veniamo e quindi costituiscono la coscienza della nostra identità e di appartenenza non solo ad un territorio, ma anche ad una determinata famiglia.
Infatti quello che siamo oggi lo dobbiamo alle persone che ci hanno preceduto e che ci hanno trasmesso attraverso il loro esempio di vita vissuta dei valori, dei buoni sentimenti quali l’educazione ed il rispetto per gli altri, ma anche l’amore per le tradizioni, il valore della Fede religiosa, l’amore per la Patria, il rispetto per le Istituzioni; ma anche i modi di dire ed i proverbi che sono il frutto della saggezza popolare.
Questa eredità di saperi, di valori e di tradizioni non deve essere dimenticata ma deve essere trasmessa alle nuove generazioni, sempre più distratte da una vita frenetica e globalizzata, stimolando in essi la consapevolezza che solo attraverso la memoria di queste tradizioni e valori anche la loro esistenza sarà ben vissuta, perché affonderà le proprie radici su un terreno compatto che sarà in grado di resistere alle avversità della vita.
La memoria della propria identità ci permette di conservare e ritrovare all’occorrenza i ricordi di eventi passati, informazioni importanti e anche le nozioni che ci servono nella vita quotidiana.
La memoria della nostra storia, della nostra famiglia, del nostro percorso personale di crescita, ci rende quelli che siamo, con le nostre esperienze, limiti e virtù.
Sin dall’antichità, la memoria è stata celebrata come una delle capacità umane più sorprendenti anche perché è la sola a rendere uomini e fatti immortali: soltanto tramandando ciò che è accaduto e chi ha vissuto nelle diverse epoche, si può andare al di là del limite di tempo della vita terrena.
Come ci insegna Cicerone, “La storia è testimonianza del passato, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, annunciatrice dei tempi antichi.”.
Senza memoria non esistiamo e senza la responsabilità di averne cura, forse non meritiamo di esistere.
La Famiglia Viti, trae origine dall’antica Valdarania; infatti il cognome è stato preso dal primo capostipite dal nome Vito Valdarano (anno 1400 ca.), consigliere del duca di Parma e Governatore della città di Altamura, aggregato alla Nobiltà cittadina nell’anno 1510 (“pigliando il cognome dal nome”, fonte: Libro dell’Ill.me Sigg.re Famiglie Nobili della Città di Altamura dell’anno 1572, custodito presso Arch. e Museo Civico Comunale).
Successivamente la Famiglia, tra il 1500 e il 1600 c.a., fu nominata feudataria di Caraffa (terra di Calabria) ove vide quale primo Barone Giovanni Vincenzo Viti di Caraffa (n. 26.03.1587) che sposò in prime nozze Giulia di Rienzo e poi Clarice Mastrilli, da cui ebbe Felice Antonio (secondo Barone di Caraffa) e Vittorio, padre di Giovanni Antonio, erario di Altamura nel 1630.
Felice Antonio, ebbe poi come primogenito Giovanni Vincenzo (terzo Barone di Caraffa morto il 13.09.1672, menzionato nel Libro d’Oro della Nobilità Italiana) che sposò Vittoria Castelli.
Costoro furono i genitori, tra gli altri, di due figli che diedero origine a due distinti rami della famiglia che hanno dato vita agli attuali discendenti tutt’oggi viventi della Famiglia Viti e ancora dimoranti in Altamura (i discendenti di Francesco e Chiara Viti).
Il primo ramo fu originato da Francesco Viti (n. 13 mar. 1631 † 1 gen. 1710) che, dal suo matrimonio con Maria Giannelli, ebbe, tra gli altri, Felice Antonio (n. nel 1664 † 22 ag. 1714).
Quest’ultimo, sposò Eleonora Castelli dalla quale ebbe, Francesco Viti (n. nel 1697 † 27 apr. 1753), che sposò Gerolama Laudati.
E’ proprio tale Francesco (figlio di Felice Antonio) che fu nominato 1° Conte con Diploma di Leopoldo d’Austria nel 1712 ed è da costui che discendono tutti i Viti annotati negli Elenchi Ufficiali Nobiliari italiani.
L’altro ramo del casato fu originato da Domenico († 12 ott. 1691), fratello del predetto Francesco Viti (n. 13 mar. 1631 † 1 gen. 1710).
Domenico († 12 ott. 1691) si sposò con Elisabetta Mari († 20 lug. 1714) dalla quale ebbe, tra gli altri, Nicolò (n. nel 1697) marito di Francesca Martini figlia del duca di Sanarica.
Da costoro discese, tra gli altri, Vincenzo (n. 19 mar. 1722 † 17 feb. 1800, annotato quale “Patrizio” nel Catasto Onciario dell’anno 1742 della città di Altamura e nominato nel Libro d’Oro della Nobilità Italiana), sposato con Isabella De Angelis; dalla coppia nacque anche Pietro (n. 20 giu. 1773 † 24 apr. 1864) che da sua moglie Imperia Santoro ebbe, tra gli altri, Vincenzo (n. 16 nov. 1806 † 24 apr. 1864).
Vincenzo sposò poi Elisabetta Martucci dalla quale ebbe, tra gli altri, quel nobile Francesco Viti (n. 20 apr. 1845 † 16 gen. 1918) che sposò Chiara dei Conti Viti (n. 30 apr. 1844 † 29 mar. 1915) annotata negli Elenchi Ufficiali e discendente dall’altro ramo della Famiglia sopra indicato.
Merita di essere menzionato il 3° Conte Francesco Viti (fratello di Pasquale, primo presidente della Repubblica Altamurana nel 1799), il quale dalla prima moglie Concetta Giannelli ebbe tra gli altri come primogenito maschio Vincenzo che assunse il titolo di 4° Conte e che diede vita ad altro ramo comitale della famiglia (in parte trasferitasi tra Trani, Napoli ed altre città italiane) ed annotata negli Elenchi Ufficiali della Nobilità Italiana.
Mentre dalla seconda moglie Giovanna Gattola Mondelli, il Conte Francesco ebbe 6 figli: Clarice (che sposò il Duca di Castel Garagnone), Rosa (morta da bambina), Nicola (secondo genito maschio e padre di quella Chiara che sposò Francesco Viti proveniente da altro ramo del Casato), Gaetano (Patrizio Altamurano), Giulia ed infine Pasquale, famoso Ten. Col. di Cavalleria in Altamura.
Nicola dei Conti Viti (n. 13.12.1798 e m. 09.08.1861), stabilito ad Altamura, sposerà poi Giovanna De Angelis da cui la famiglia erediterà il Palazzo di Porta Bari ad Altamura e da cui lo stesso prenderà il nome.
La coppia ebbe poi 4 figli: Claudio che, seppur sposato con Vincenza Rivellini non avrà figli; Francesco che morirà celibe, Giovannina che morirà giovanissima ed infine Chiara che, come anzidetto, sposerà quel Francesco – avvocato – proveniente dall’altro ramo.
I nobili Francesco e Chiara dei Conti Viti (sposi il 12.07.1869), vissero sino alla loro morte nel Palazzo Viti-De Angelis di Altamura ed ebbero a loro volta 6 figli: Elisabetta, Vincenzo, Nicola, Giovanni, Pietro (nonno del Gen. dei Carabinieri Pietro Viti, menzionato nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana) e Claudio (ultimo dei fratelli che poi acquistò tutte le altre quote del Palazzo Viti De Angelis e i cui discendenti ancora vi abitano).
In particolare il primogenito maschio della predetta coppia, nob. Vincenzo Viti (n. 10.02.1874, m. 02.11.1956) sposò Irene Marvulli, cameriera e serva del Palazzo in cui egli abitava.
Si narra che Vincenzo fu costretto dal padre di lei a sposarsi (nonostante Irene provenisse da un’umile famiglia popolare) a causa dei corteggiamenti da parte di lui un po’ troppo disinvolti per gli standard dell’epoca.
La coppia, dopo il matrimonio, si trasferì dal Palazzo di famiglia per andare ad abitare presso la residenza di campagna del Casato (alla contrada Crapulicchio di via Ruvo), dove crebbero i loro 5 figli: Francesco, Pietro, Nicola, Marcello e Achille.
Vincenzo, il primogenito di Francesco e Chiara, crebbe immerso nelle tradizioni e negli agi del palazzo di famiglia. Fino ai quarant’anni, la sua vita era stata segnata dalla serenità di chi non aveva mai dovuto affrontare le difficoltà del mondo del lavoro. Quando però ereditò parte del patrimonio familiare, si trovò improvvisamente a dover gestire un compito per il quale non era stato preparato: la cura delle finanze familiari.
Le rendite immobiliari, che costituivano la principale fonte di sostentamento, erano ormai insufficienti a garantire la stabilità economica che la sua famiglia richiedeva. Vincenzo, consapevole delle necessità crescenti, accettò talvolta i suggerimenti del fattore di campagna, il quale lo incoraggiava a vendere porzioni dei fondi ereditati in cambio di liquidità. Sebbene Vincenzo fosse animato dalle migliori intenzioni e desideroso di provvedere ai bisogni della famiglia, la sua scarsa conoscenza del patrimonio e delle sue effettive dimensioni lo portava spesso a prendere decisioni che non sempre si rivelavano vantaggiose.
Nonostante ciò, il suo impegno e la sua dedizione alla famiglia furono sempre costanti. Vincenzo, uomo dal cuore gentile e dai principi solidi, impartì ai suoi figli un’educazione severa ma amorevole, preparando loro un futuro migliore. Fu proprio grazie al loro spirito imprenditoriale e alla loro voglia di rinnovamento che la famiglia riuscì a preservare gran parte del patrimonio.
Vincenzo visse una lunga vita, dedicandosi ai suoi cari e alle sue responsabilità fino all’ultimo. A 82 anni, il destino lo colse in modo inaspettato: un malore lo colse mentre si trovava sulle scale del Cimitero di Altamura, dove era andato a rendere omaggio ai suoi antenati in occasione del 2 novembre. La sua dipartita, in un luogo così simbolico, rappresentava quasi un momento di riflessione e riconciliazione con il passato.
Tutti i discendenti dei coniugi Vincenzo ed Irene menzionati sono cresciuti in quelle terre di Altamura (sulla via per Ruvo); luoghi a tutt’oggi dagli stessi abitati.
Il secondogenito di Vincenzo, nob. Pietro Donatangelo (n. 12.01.1925, m. 12.07.1981) durante il suo servizio da Carabiniere nei territori veneti, conobbe la giovane Rosy Fochesato (del paese di Dueville, vicino Vicenza). La stessa rimase affascinata dal giovane carabiniere che sposò il 24.11.1946, trasferendosi nei luoghi della famiglia di lui. Qui la coppia ebbe 6 figli, tra cui Vittorio.
Sulle terre ereditate da suo padre, lontano dagli agi del palazzo nobiliare di città in cui era cresciuto, Pietro decise di costruire una nuova casa, dove la sua famiglia avrebbe piantato le radici del proprio futuro. Vicino alla storica casa di campagna della famiglia, lontano dalle comodità e dalla vita di città, egli scelse di dedicarsi con passione all’agricoltura, aprendo una strada nuova per sé e per i suoi figli.
Con spirito intraprendente e desiderio di innovare, Pietro fondò la prima autoscuola di Altamura, che battezzò con il nome evocativo di “Autoscuola Buoncammino”, segno del cammino verso il futuro, pur mantenendo saldo il legame con la terra e le tradizioni.
In onore dell’antica passione familiare per l’equitazione, Pietro costruì accanto alla sua abitazione un maneggio, uno spazio dedicato alla nobile arte dei cavalli, dove insegnò ai suoi figli i primi rudimenti dell’equitazione. Quel maneggio, non era solo un luogo fisico, ma il simbolo di una tradizione che si tramandava da generazioni, una passione condivisa e vissuta a pieno. Mio padre, Vittorio, ereditò quel maneggio con orgoglio e lo migliorò, mantenendolo vivo fino ai nostri giorni, testimone silenzioso dell’amore per i cavalli che ha sempre accompagnato la nostra famiglia.
È in quel maneggio che, sotto lo sguardo amorevole di nostro padre e respirando l’eredità paterna, io e mio fratello abbiamo appreso i segreti dell’arte equestre. La polvere del campo, il profumo dei cavalli e la dedizione quotidiana ci hanno formato, legandoci ancor di più a quelle terre che rappresentano la storia della nostra famiglia.
Infine, da Katarzyna Maria Szaj, il 15 maggio 2021, è nato mio figlio, Vittorio Edward Viti. Con la sua nascita, una nuova generazione è venuta al mondo, pronta a ricevere e custodire questo patrimonio di valori e tradizioni, un legame profondo che ci unisce al passato e ci proietta verso il futuro.
L’arma della Famiglia Viti fu riconosciuta ufficialmente con D.M. 28.08.1911 (C.S. vedi anno 1883) ed è formata d’azzurro alla banda di rosso, bordata in oro, accompagnato in capo da una stella d’oro, ed in punta da un tralcio di vite, con uva al naturale, scorciato e posto in banda.
Tuttavia va puntualizzato che possono fregiarsi dello stemma ornato della corona di Conte solo i discendenti diretti in linea maschile di quel Francesco Viti (n. nel 1697 † 27 apr. 1753), che sposò Gerolama Laudati e che fu nominato I Conte con Diploma di Leopoldo d’Austria nel 1712.
Tra i successori diretti vi è quella Chiara dei Conti Viti, figlia di Nicola, che risulta essere tra gli ultimi vissuti ad Altamura appartenenti a quel ramo comitale (Chiara poi sposò Francesco Viti proveniente da un altro ramo della Famiglia, pur nobile ma privo del titolo di Conte). I discendenti di Francesco e Chiara dei Conti Viti sono a tutt’oggi dimoranti in Altamura (in particolare i discendenti di Vincenzo, primogenito della coppia).
Al riguardo, la norma di riferimento (per rinvio statutario dell’Ordine alle principali fonti araldiche) è l’art. 40 del R.D. n. 651 del 7 giugno 1943, “Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano”, il quale testualmente dispone:
“Le successioni dei titoli, predicati ed attributi nobiliari hanno luogo a favore dell’agnazione maschile dell’ultimo investito, per ordine di primogenitura, senza limitazione di gradi, con preferenza della linea sul grado.
I chiamati alla successione debbono discendere per maschi dallo stipite comune, primo investito del titolo.
I titoli, i predicati e gli attributi nobiliari non si trasmettono per linea femminile, salvo quanto dispone il capoverso dell’art. 45”.
Quest’ultimo riferimento, richiede che i titoli pervenuti ai maschi per via femminile siano stati riconosciuti con regie lettere patenti emesse prima del 7 settembre 1926.
Cosa che nel caso del ramo discendente dai coniugi nob. Chiara dei Conti Viti e nob. Francesco Viti (così come sopra illustrato) non pare si avvenuta.
Pertanto va’ detto, per correttezza espositiva, che tutti i discendenti di tale coppia che ha dato vita al ramo in questione, sebbene possano fregiarsi del titolo di Nobile – ereditato dal ramo di Francesco, discendente dai Baroni di Caraffa e da comprovati Patrizi della città di Altamura – non è dato loro vantarsi del titolo di Conte; possono invece fare uso proprio dello Stemma di famiglia privo di decorazioni.
L’utilizzo dello Stemma decorato con la Croce del S.M.O. Cost. di San Giorgio – come raffigurato nella seconda immagine degli stemmi sopra rappresentati – è invece riservata esclusivamente ai componenti della famiglia appartenenti al Sacro Ordine Militare Costantiniano di San Giorgio – di cui ho l’onore di farne parte – e ai suoi diretti discendenti.
Bibliografia e fonti storiche:
Giovanni Mercadante, Altamura, La Regina della Murgia, 1988;
Giovanni Mercadante, Altamura Nobilissima, 1997;
Giovanni Mercadante, Altamura, il Codice segreto della Nobiltà e il mistero dei Cavalieri di Malta, 2010
Andrea Borrella, Annuario della Nobilità Italiana, XXXI ed.
Istituto Araldico Romano, Collegio Araldico, Il Libro d’Oro della Nobiltà Italiana.
T. Castaldo, www.nobili-napoletani.it.
Agli inizi del 1900 la Famiglia Viti di Altamura fu protagonista anche di un tragico evento: il nob. Domenico Viti, fratello dell’avv. Francesco (consorte della nob. Chiara dei Conti Viti, dimoranti nel famoso palazzo), rimase vittima di omicidio insieme alla sua domestica nella sua casa di campagna durante una rapina ad opera di alcuni malfattori dei paesi limitrofi.
A tal proposito, è giunto sino ai giorni nostri – perfettamente intatto – uno straordinario documento storico riguardante la pubblicazione dell’arringa della parte civile ad opera dell’avv. Giuseppe Lembo (incaricato dal predetto avv. Francesco dei conti Viti per difendere la posizione della Famiglia) nel processo contro i responsabili del delitto dinanzi la Corte d’Assise di Bari.
Il documento, pieno di dovizia di particolari, riveste particolare importanza non solo sul piano processuale e giuridico al fine di conoscere e capire i fatti, ma anche sul piano umano, contendendo una lettera rivolta all’avv. cav. Francesco dei conti Viti nella quale l’avv. Lembo esprime tutta la sua vicinanza fraterna e compassionevole alla Famiglia e alla nobil donna Chiara, venuta a mancare qualche anno prima.
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